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Arabi, oppure, udite, udite, cinesi? Nati da un errore e poi diffusi dai veneziani? Che mistero i Tortelli Cremaschi!

Testata: CremonaSera

La Confraternita del Tortello Cremasco, sul proprio sito internet ufficiale riporta che …”La ricetta codificata da noi è quella che il Consiglio Direttivo ha decretato essere quella più vicina alla tradizione e alle notizie storiche. È stata decisa dopo un’attenta valutazione anche della ricetta tramandata dal socio onorario Amilcare Cazzamalli, una ricetta di famiglia che risale al Novecento (e con le uova nella pasta) e delle ricette codificate dall’Accademia del Tortello cremasco, ideata nel 2004 da Franco Larato per tutelare la ricetta storica con relativa rassegna gastronomica attuale e dalle Tavole Cremasche, associazione di ristoratori cremaschi nata nel 1996 per valorizzare la cucina locale e dare sostegno alle donne malate di tumore al seno. Entrambe le associazioni attualmente non esistono più e quindi la Confraternita ha cercato di continuare ed ereditare il lavoro svolto da queste due associazioni cultural- gastronomiche cremasche. Ad oggi, infatti, non esiste una ricetta univoca del Tortello cremasco perché sia la città di Crema sia i territori limitrofi conservano la ricetta tramandata oralmente, con alcune piccole varianti e aggiustamenti a seconda della tradizione famigliare o del paese (in particolare delle sagre). La ricetta originale attualmente è quindi sconosciuta ma è possibile datarla tra il Seicento e il Settecento. È stata la tradizione culinaria popolare a tramandare la ricetta e riproporre questo piatto caratteristico fino ai nostri giorni rendendolo un autentico emblema del Granducato cremasco. È impossibile parlare di Crema e del Cremasco senza nominare i Tortelli cremaschi. Conservano ancora oggi un metodo di lavorazione piuttosto complesso, un segreto custodito gelosamente nelle case delle massaie e nelle cucine dei ristoratori, ma di per certo questa ricetta è collegata a Venezia, che ha dominato Crema (e il territorio circostante) per più di 300 anni, come dimostrano i monumenti presenti nella città (ad esempio le mura venete che la circondano) e il caratteristico simbolo del leone di San Marco. Si tratta di una pasta ripiena unica, originale e irripetibile nel patrimonio gastronomico lombardo perché associa un delicato equilibrio tra la parte dolce e la parte salata. Un piatto che valorizza la storia, che lega Crema a Venezia, di cui ancor oggi si possono trovare le tracce in diversi resti e reperti. I rapporti commerciali con Venezia hanno consentito, nel periodo delle scoperte geografiche e dei viaggi, di introdurre degli ingredienti che altrimenti sarebbero stati introvabili nel cuore della Pianura Padana, che solitamente ha una tradizione culinaria più semplice legata alla vita contadina e di campagna. L’influenza veneta ha introdotto invece diverse spezie che giungevano dall’Oriente. È ancora in discussione se l’origine del piatto sia povera/plebea (nelle cascine si preparavano solo durante le sagre, i momenti di festa e i matrimoni o spesso si preparavano con i resti degli ingredienti nella madia prima di rinnovare le provviste) o aristocratico, tipica delle famiglie nobiliari cremasche”.

 La food blogger Annalisa Andreini, affiliata importante alla Confraternita, nel suo blog Dolci emozioni in cucina scrive che: “Le signore di paese non li confezionano con i classici 5 o 7 pizzichi, ma li chiudono a mo’ di raviolo e il loro bello sta tutto lì, nel fatto che ci troviamo al confine tra le province di Bergamo e di Cremona, ergo le commistioni tra le diverse tradizioni trovano qui gli incroci più interessanti e disparati. Che poi si parla tanto di tortelli della tradizione. Ma quale tradizione? Forse proprio quella di ciascuno di noi, legata ai propri fogli ingialliti di famiglia e ai propri racconti. Una signora, un giorno, leggendo il simpatico libro ‘Tutti i segreti del Tortello Cremasco. Non c’è la zucca’ – che ho scritto a quattro mani con una giornalista cremasca (Isabella Radaelli), mi ha detto che i Tortelli non derivano né da Mantova né da Venezia né dall’Austria o dalla Turchia ma dalla Cina (tesi questa che sosteneva pure lo chef, scomparso troppo presto, purtroppo, Alberto Iacono), da quei viaggi avventurosi di Marco Polo che poi curiosamente riportava in Italia tutte le sue scoperte. Potrebbero dunque giungere i nostri tanto amati Tortelli Cremaschi dall’antica Cina come potrebbe suggerire la loro caratteristica e inusuale pizzicatura che ha un po’ il vezzo ornamentale dei merletti ed è forse un po’ orientaleggiante? Chissà! A noi basta assaggiarli così, nella loro povertà tradizionale della pasta matta, solitamente senza uova, e del loro ripieno con i famosi undici misteriosi ingredienti che conquistano immediatamente il commensale oppure lo tramortiscono, lo sconvolgono, lo confondono. Ogni tanto al posto del Marsala troviamo la Sambuca o l’unione di tre liquori diversi o addirittura il Whisky. C’è chi mette qualche mentina in più o in meno, chi spezzetta in modo più fine o grossolano l’uvetta ma in sostanza le diverse versioni territoriali, tramandate quasi solo oralmente, hanno un loro filo conduttore nel giusto equilibrio tra il dolce e il salato e acquistano così il loro alto valore storico e culturale”

Bernardo Zanini, con le sue ricerche per il sito Crema News ha fatto una scoperta sensazionale, squarciante, se verrà confermata. Sostiene Zanini …”che nel 1577 ci sarebbe stato un pranzo in casa del patrizio veneziano Francesco Maria Riva proprio  a Crema, per festeggiare la nomina a podestà della città e si servirono carni arrosto di pernici e fagiani in umido, insaporiti con spezie e con burro fuso e salvia e vini rossi e dolci veneziani con vino passito. Riva aveva due cuoche, una veneta che parlava solo il dialetto veneziano e una cremasca che parlava solo il cremasco. La cuoca veneta aveva fatto dei tortelli al forno, ripieni di mandorle e cedro tritati e cacao, una volta cotti, li fece assaggiare alla collega cremasca. Ed ecco la svolta: la cuoca cremasca intinse, per puro caso, un tortello in una soluzione di burro fuso e foglie di erba salvia che serviva per condire altri piatti di carne arrosto e in umido. Il risultato le piacque e vennero serviti così ai commensali del pranzo. In quel momento nasceva il principio del tortello cremasco. Successivamente si provarono altri ingredienti, come l'uvetta passa, la mentuccia, gli amaretti e poi i mentini, la noce moscata, fino ad arrivare alla composizione classica e attuale del ripieno del tortello cremasco. E da quello sbaglio, i tortelli cremaschi presero piede nel 1800, nelle sagre dei paesi e ognuno ha una propria composizione sia della pasta, sia del ripieno”. 

Tale studio è frutto di una pagina del 1577 del manoscritto Crivelli, inedito per la città di Crema. Arabi per materie prime, nati e sviluppati grazie ai veneziani, i Tortelli Cremaschi, da secoli dividono, seducono, fanno discutere, piacciono e stupiscono. E il film di Guadagnino "Chiamami col tuo nome", il Tortello l'ha portato nel mondo. 

Michele Scolari, proprio su Cremona Sera, più volte a ribadito che … “tortelli cremaschi presentano caratteristiche non meno orientaleggianti dei Marubini Cremonesi: il loro ripieno comprende infatti ingredienti orientali quali amaretti, mostaccini (biscotti speziati con dentro Armelline di Damasco, ovvero piccole mandorle contenute nei noccioli delle albicocche – frutto introdotto in Occidente proprio dagli arabi), uvetta, cedro mentina e noce moscata; il tutto sapientemente amalgamato in un delicato equilibrio di sapori che richiama proprio il tipico gusto arabo-persiano per le miscele dolci-salate indicato nei ricettari medici di Jazla e Butlan. Gioverà notare che del sambusuch esisteva (come per molte altre specialità arabo-iraniche) anche una versione dolce, in cui la sfoglia all’uovo era riempita con un trito di zucchero, mandorle pestate, acqua di rose, canfora ed altre spezie. Questa seconda versione del sambusuch non compare nell’enciclopedia di Jazla, ma è presente nelle Tavole di Ibn Butlan e nel Compendio di Al Baghdadi con il nome di mukallal (lett. “incoronata”), entrambi tradotti alla Corte di Re Manfredi nel Duecento e, successivamente, in Italia Settentrionale nel Trecento. Del resto dalla letteratura medievale (come ad esempio si legge nella Chronica in Salimbene de Adam o nel Decameron di Boccaccio) si evince che i ravioli erano ben conosciuti nei Comuni e nelle corti dell’Italia padana e meridionale almeno sin dalla metà del XIII secolo. Ma come giunsero dall’oriente? Sicuramente con i commerci e le Crociate, ma soprattutto attraverso le traduzioni latine delle ricette contenute nei trattati medici arabi. Uno dei canali di diffusione di questa specialità in Italia dall’Oriente fu l’Italia Meridionale. Qui, dapprima con la dominazione araba e la Scuola medica di Salerno, poi con la corte di Federico II di Svevia, l’instaurarsi di un sapere medico che dava nuovo spazio al cibo andava di pari passo con l’introduzione dell’alta cucina arabo-persiana: sotto Federico, che ricreò attorno alla sua corte lo stesso ambiente poliedrico e permeato d’interessi scientifici e artistici che aveva caratterizzato i grandi califfati abbasidi, fiorirono sia la poesia siciliana, sia una letteratura dietetica e gastronomica a partire dalla traduzione di compendi medici arabi. L’altro grande canale di diffusione della dietetica e della gastronomia arabe in Italia (soprattutto in Pianura Padana) fu Venezia, dove fu attivo per qualche tempo Giambonino da Cremona, il traduttore di parte dell’enciclopedia di Jazla. Dalla Serenissima e dal Meridione, dunque, il prototipo dei ravioli (come numerosissime altre specialità arabo-iraniche), già nel Medioevo si diffuse in Italia e nella pianura padana, assumendo poi caratteristiche proprie da luogo a luogo per forma, farcia, dimensioni e tecniche di cottura (già nella traduzione di Giambonino, talvolta le specialità arabe vengono adeguate ai gusti e alle abitudini culinarie della tradizione occidentale più povera). Non c’è da meravigliarsi dunque che il precursore di specialità come i tortelli cremaschi o cremonesi (oltre che del torrone e, forse, anche della mostarda) vanti un prototipo arabo-persiano”.

Stefano Mauri

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